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IL SUICIDIO E GLI ADOLESCENTI NELL’ERA DIGITALE.

IL SUICIDIO E GLI ADOLESCENTI NELL’ERA DIGITALE.

Data di pubblicazione: 17 settembre 2019

INTERVISTA A BARBARA CAPELLERO DI SERENA CORONGI

Il suicidio e la morte accidentale da autolesionismo erano per l’Organizzazione mondiale della sanità la terza causa di mortalità degli adolescenti nel 2015, con una stima di 67.000 morti. L’autolesionismo si verifica in gran parte tra gli adolescenti più grandi, e globalmente è la seconda causa di morte per le ragazze adolescenti di età maggiore. E’ la principale causa di morte o la seconda di adolescenti in Europa e Sud-Est asiatico. Affrontiamo con queste riflessioni di una mamma e psicologa un tema molto difficile da trattare, per la sua delicatezza e per il rischio, sempre in agguato, di assolutizzare la propria esperienza. Tuttavia, crediamo valga la pena aprire il dibattito.

La cronaca in questi ultimi anni ci racconta numerose storie di adolescenti che, attraverso i social network, trasmettono il loro suicidio in diretta. Un caso che ha fatto molto scalpore è quello di una ragazzina americana di tredici anni che ha pubblicato un video di circa 40 minuti, nel quale spiegava le sue motivazioni prima di compiere il gesto. I video dei suicidi registrano milioni di visualizzazioni, stimolando evidentemente l’interesse degli adolescenti, ma anche quello degli adulti, come ha narrato Davide Sisto nel suo libro La morte si fa social. Si tratta di una rappresentazione cinematografica della morte dove reale e irreale si fondono e diventano alla portata di tutti. Per comprendere come gli adolescenti si rapportino con la morte nell’era digitale abbiamo intervistato Barbara Capellero, psicoterapeuta e mamma di due figli di quattordici anni.

Gli adolescenti si rendono conto di star guardando un vero suicidio in diretta?

I ragazzi hanno difficoltà a distinguere il reale dall’irreale. L’utilizzo dei social network li porta a vivere e a confrontarsi in un mondo irreale, generando in loro molta confusione. Alcuni casi di cronaca ci raccontano di tentativi di emulazione, finiti male, in cui i ragazzi si mettevano un cappio al collo per emulare il gesto senza volersi veramente suicidare. Anche le storie fantastiche che guardano su Youtube, tratte da storie vere, ma arricchite da elementi irreali, come ad esempio i fantasmi, sono percepite come reali dagli adolescenti.

Perché alcuni adolescenti oggi sono disposti a barattare la loro vita per qualche tipo di fama, reale o presunta?

Gli adolescenti hanno bisogno di mettersi alla prova, di creare la loro identità e di separarsi dalle figure di riferimento attraverso il confronto. Per noi, che oggi siamo adulti, la ribellione adolescenziale consisteva in gesti simbolici, di sfregio contro i genitori o il sistema, alla ricerca di uno spazio in cui sperimentare le proprie potenzialità e i propri limiti. Al contrario, i ragazzi di oggi vivono questa fase della loro vita con un’apparente tranquillità. Questa adolescenza soft, percepita dagli adulti come positiva e di facile gestione, porta con sé dei lati oscuri. I ragazzi, infatti, sono colti dalla medesima sensazione di onnipotenza, immortalità e voglia di sperimentarsi, caratteristica di questo momento della crescita, ma il confronto che cercano e il gruppo di appartenenza a cui fanno riferimento è online e sui social. L’utilizzo costante del cellulare e di internet li porta a vivere una realtà non realmente vissuta. I social network sono popolati da influencer e da youtuber, anche molto giovani, che raccontano ogni momento della loro vita diventando così leader di un gruppo. Questi ultimi sono ammirati e idolatrati dagli adolescenti, desiderosi di ricevere la medesima attenzione e ammirazione.

Qual è il ruolo degli adulti in tutto questo, a cosa dovrebbero prestare attenzione?

I nuovi adolescenti non si confrontano più sulle tematiche più profonde, né tanto meno sulla morte. Non hanno una vita sociale come quella che abbiamo avuto noi. Non dibattono con i loro coetanei, ma preferiscono passare il loro tempo a giocare con videogiochi violenti o a scriversi.

Da mamma ho testato per prima questo nuovo modo di essere adolescenti, ed ho riscontrato alcuni atteggiamenti comuni. I miei figli ad esempio, se non vengono chiamati, passano la giornata su internet a guardare video di ogni genere, senza rendersi conto del tempo che passa, chiusi nella loro cameretta. Anche quando andiamo a cena e ci sono dei loro coetanei, il cellulare attira la loro attenzione e non permette la normale socializzazione.

La caratteristica più negativa del confronto online è la scarsa apertura mentale. I ragazzi (come gli adulti), infatti, si contattano e si scrivono solo tra simili, evitando totalmente visioni ed interpretazioni della vita differenti dalla loro. La ricerca di se stessi attraverso la lettura di libri e di autori non avviene più e anche le serie tv sono cambiate. I telefilm più guardati dai miei figli e dai loro amici sono a tema zombie o vampiri e le trame raccontano di personaggi che da morti aiutano i vivi a sopravvivere. La morte non viene più rappresentata come un evento definitivo e, con l’allungamento della vita media, raramente i ragazzi affrontano il lutto dei loro parenti ed hanno l’occasione di confrontarsi con la fine.

I suicidi degli adolescenti oggi non sembrano solo legati alla dimensione depressiva, ma dipendono a mio modo di vedere dalla loro fragilità. Non sapendosi più confrontare si nascondono dietro allo schermo e ricercano l’attenzione attraverso la simulazione del suicidio.

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