DYSARESKEIA Insoddisfazione cronica: psicologia di chi non si accontenta mai – Data di pubblicazione: 5 settembre 2019
Dysareskeia è il nome di un nuovo ma da sempre presente, disagio psicologico. Non è da noi inventare nuovi stati morbosi, anzi, con questa scoperta possiamo dire che riduciamo le malattie di origine psicologico di un considerevole numero di termini e quindi, diagnosi.
La dysareskeia compare con dei sintomi precisi quasi sempre all’indomani di qualche evento negativo per il soggetto. Questi eventi negativi possono essere dai più gravi, un lutto, la perdita del lavoro, un fallimento esistenziale, ai più lievi quali una piccola incomprensione, un litigio con un amico/a, un banale incidente anche automobilistico e quant’altro può venirvi in mente.
I sintomi sono molteplici e precisi e vanno dalla diminuzione dell’autostima, alla perdita dell’interesse per la vita in genere e/o qualcosa di particolare. Il soggetto non è più in grado di sentire attrazione per qualche cosa, per un obiettivo piuttosto che per un conseguimento di piacere. Nulla è più interessante nella sua vita.
Conosciamo tutti molte persone che hanno una bella casa un marito/moglie adorabile e fedele, figli stupendi, nessun problema economico ma purtroppo non sono felici, non riescono ad avere alcuna soddisfazione dalla loro vita: ecco la dysareskeia.
La madre di tutte le malattie, psichiche ma anche somatiche, organiche. L’ammalato di dysareskeia non vede l’ora di appendere la sua insoddisfazione a qualcosa di conosciuto, ad una malattia psichica ma ancor più organica, per dare nome e cognome ad uno stato psicologico di cui non sa la provenienza e nulla fa più paura di quel vuoto angosciante senza un perché.
Questi soggetti solitamente si buttano sulle teorie sia psicologiche che fisiologiche con la speranza di non essere loro, cioè che non sia la loro vita e le loro scelte ad averli ridotti in quello stato. Una delle difese maggiori alla dysareskeia è proprio quella di non assumersene la responsabilità, questo è già sintomo della malattia.
Nel trattamento della dysareskeia ci si imbatte indubbiamente su molte questioni sia metodologiche che oggettive dalle quali se ne può uscire con pazienza e accoglienza. Per fortuna la prognosi della dysareskeia è positiva, nel senso che è clinicamente aggredibile, trattabile e risolvibile.
Perché succede e cosa possiamo fare per fermare il senso d’insoddisfazione
Anche tu puoi farcela ad avere tutto e se non ce la fai è perché non fai abbastanza, avanti così, risuona il grido. No, non è vero.
Dopo secoli di storia emerge intatto il senso di un concetto che forse possiamo iniziare, lentamente, a riscoprire: «Chi non è soddisfatto di ciò che ha, non sarebbe soddisfatto neppure se avesse ciò che desidera». Nelle parole del filosofo greco Socrate si cela qualcosa che spesso ci sfugge: avere desideri, evolvere, cercare nuove formule per una vita più felice è legittimo, ma possiamo realizzarlo solo partendo da ciò che abbiamo.
Partire da ciò che si ha significa iniziare a vedere e accettare ciò che siamo. Con la sua precarietà, con le incertezze e le mancanze che sono proprie dell’esistenza. È da questo che può nascere la capacità di vedere anche quello che ci rende ricchi in quanto ac-cresciuti dal percorso di vita che abbiamo fatto, non per ciò che possediamo bensì per ciò che siamo. Meno affamati e più grati.
Gratificante non è solo la fame placata nel raggiungimento di un obiettivo costante, bensì la capacità di acquisire la consapevolezza di essere vivi e che la nostra forza più grande è il costante fare esperienza della vita, pur non sapendo dove ci porterà.