Terapia sistemico relazionale
Le psicoterapie sistemiche partono dal concetto che il soggetto sia contestuale e non più monade come, ad esempio, sosteneva la psicoanalisi quando affermava che tutto succede nel mondo interno dell’individuo: punto cardine dell’impianto sistemico relazionale è il ruolo della comunicazione e del linguaggio, riassumibile dall’assioma individuato dalla scuola di Palo Alto che per prima dichiara “non si può non comunicare”. Ogni gesto che facciamo, ogni parola che diciamo, ogni attenzione che mostriamo, ogni decisione che prendiamo o che decidiamo di non percorrere, comunica qualcosa a chi ci sta intorno. Non esiste una parola nella nostra lingua che rappresenti il contrario di comunicazione e lo stesso termine “incomunicabilità” parla di un disagio enorme da sopportare, una emozione difficile da gestire e con la quale fare i conti.
In un contesto teorico di questo tipo, viene da sé che i sintomi stessi sono, prima di tutto, dei messaggi che inviamo alle persone per noi importanti (appunto al nostro “sistema”).
Un compito del terapeuta, da questo punto di vista, è quello di decifrare questo messaggio e comprendere a fondo le istanze portate dal sintomo, rendendole comunicabili in altri modi in modo che sia più semplice potervi dare una risposta.
Inoltre, secondo l’approccio sistemico ogni comportamento è considerato alla stregua di una comunicazione che immette e riceve informazioni e indicazioni nel sistema: ragionamento analogo si applica ai sintomi e, in questo caso, nasce il termine “paziente designato”, che rappresenta una modificazione radicale della concezione del disagio psicologico.
Con il termine “paziente designato” si indica la persona portatrice di un problema che tuttavia, se letto all’interno del sistema in cui l’individuo è immerso, diventa portavoce di un disagio talvolta più esteso, di una difficoltà espressa a nome dell’intero sistema. Questa concezione di “paziente designato” nacque in primo luogo dall’esperienza clinica empirica di alcuni accadimenti. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, ai casi in cui il figlio muove i primi passi di autonomia e la madre cade in depressione, oppure a quando la moglie “problematica” migliora e il marito inizia a presentare problemi. In questo senso la condizione di malattia è necessaria e funzionale alla stabilizzazione del sistema in cui l’individuo sofferente è inserito. Il paziente designato, insomma, è designato dal sistema a fare da portavoce per un conflitto dell’intero nucleo, non è considerato una vittima ma un partecipante attivo al gioco patologico (M Selvini Palazzoli e Coll, 1975) che, anche in virtù della posizione occupata, spesso conquista notevole potere e privilegi.
La psicopatologia pertanto nascerebbe non solo da esperienze di tipo negativo come traumi e abusi, ma anche da confusione, dallo stare in una relazione in cui i ruoli sono poco chiari (si pensi a un ragazzo che, per una serie di giochi relazionali famigliari, non sappia se è figlio o marito di sua madre): chi non sa quale è il proprio ruolo nella relazione non capisce chi è, e il comportamento diventa consequenzialmente stravagante, bizzarro, problematico.
La patologia grave nasce dall’impossibilità di collocarsi in una trama narrativa costruita dal sistema di appartenenza (sebbene la stessa situazione potrebbe anche portare a una situazione di creatività), mentre paradossalmente il trauma del maltrattamento, per quanto invalidante, non confonde su dove ci si trova o sul proprio ruolo (almeno, non di regola).
La psicoterapia sistemico relazionale ha quindi la funzione di riequilibrare i sistemi in relazione che, manifestando un disagio, presentano un equilibrio disfunzionale.