Un’altra donna – Un’altra morte violenta – Un altro figlio

L’abisso di errori in cui viviamo nei riguardi delle donne e dei rapporti con loro. Sì, signore non mi riesce di parlar con calma di queste cose” L. Tolstoj

Il contrasto alla violenza di genere non è soltanto una grande questione di civiltà e di rispetto dei diritti umani ma è oggi anche una vera e propria “questione sociale”, dal momento che riguarda trasversalmente classi, famiglie, generazioni, gruppi etnici di riferimento. Come sostiene l’Organizzazione Mondiale della Sanità è inoltre un grave problema di salute pubblica, che incide direttamente sul benessere fisico e psichico delle
donne e indirettamente sul benessere sociale e culturale di tutta la popolazione.

Una questione epocale, per dimensione e sviluppo nel tempo, troppo spesso colpevolmente sottovalutata. Ma, allo stesso tempo, la violenza di genere è anche un fenomeno assai difficile da contrastare, perché si annida negli interstizi della società, spesso sfuggenti e
insospettabili, manifestandosi per lo più silenziosamente nella vita quotidiana e riuscendo a rappresentarsi come un evento accidentale persino nella percezione delle stesse vittime.

Le violenze di genere determinano, dunque, un costo sociale che frena lo sviluppo economico delle società, a cominciare dal mancato guadagno economico da parte delle vittime – che dopo avere subito una violenza hanno grandi difficoltà a condurre una vita lavorativa equilibrata – fino ad arrivare ai costi finanziari che il sistema deve sostenere per arginare gli effetti negativi dei maltrattamenti contro le donne.

Le violenze generano spese pubbliche più elevate per i servizi medici, per il sistema giudiziario, per la sicurezza e, soprattutto, per il prezzo pagato dalle future generazioni in termini di disagio e sviluppo.


La violenza di genere si caratterizza come un fenomeno del nostro tempo, che racchiude in sé elementi di complessità, disordine e confusione. Un fenomeno sfuggente del quale riusciamo ad intravedere una remota superficie indistinta e di cui, talvolta, percepiamo solo un’immagine sfocata.

Come altre manifestazioni, quali la tratta di esseri umani o
gli homeless, la violenza contro le donne spesso assume il carattere dell’invisibilità: invisibile perché si consuma all’interno del privato dei rapporti familiari e affettivi, perché non sempre se ne riconoscono i contorni e i contenuti, invisibile anche perché la comunicazione e l’informazione mediatica generano spesso ambiguità, pregiudizi,
stereotipi che danno luogo a percezioni distorte e a sovrapposizioni di significato.

Il femminicidio, quale estrema -ma non unica- manifestazione della violenza di genere, ad esempio è un fatto sociale: la donna viene uccisa in quanto donna, o perché non è la donna che l’uomo o la società vorrebbero che fosse.

Questo, nonostante la cronaca veda crescere incessantemente e a dismisura il numero di donne vittime di violenza, è difficile da concepire, da ammettere, da razionalizzare, da accettare, in una società democratica, “civilizzata” e culturalmente avanzata come la nostra, dove le “questioni affettive, familiari e di coppia” vengono relegate a una dimensione privata: tuttavia è una realtà innegabile che oggi molte donne subiscano violenza solo perché donne.

La violenza di genere, perlopiù in ambito familiare, è dunque una realtà statisticamente in aumento, ma non salta immediatamente agli occhi come tale. Si parla spesso infatti di stupri, violenza sessuale, molestie, maternità forzata, incesto, ma non si coglie l’essenza comune di tutti questi reati: da qui la necessità trattare la violenza contro le donne come fenomeno a sé, al fine di infrangere un tabù ed affrontare seriamente il problema.


Il singolo episodio di omicidio di una donna in sé non costituisce e non può essere rappresentato dai media solo come un “caso eccezionale”, magari conseguenza di un raptus improvviso, così come sarebbe fuorviante affermare che degli stupri siano perlopiù autori gli extra-comunitari: le statistiche, come detto, smentiscono questi input inviati dai media, affermando che nella maggior parte dei casi la violenza sulle donne è
perpetrata in famiglia, da mariti, ex o conoscenti.

Chiaro è quindi che la violenza di genere non è imputabile a un “mostro”, alla strada, ma ha radici più profonde di quanto i media vogliano far credere: è un fenomeno trasversale, interessa tutte le classi perché sta “dentro” il nucleo base della comunità, la famiglia.
La violenza di genere costituisce una tipologia di reato in costante espansione e di continuo interesse da parte della società ma soprattutto da parte di coloro che ne vengono a contatto per lavoro.

Il fenomeno nella sua globalità è complesso da analizzare in quanto gli autori di reato commettono gli episodi perlopiù entro le mura domestiche e ciò comporta, dato il legame spesso di natura intrafamiliare tra autore e vittima, il silenzio di quest’ultima che concorre ad accrescere il cosiddetto “numero oscuro”. Da ciò derivano i limiti dell’analisi di un fenomeno per sua natura sommerso, del quale non è facile tracciare i contorni.

Una conoscenza approfondita del fenomeno nel suo insieme, tuttavia, è essenziale per lo sviluppo delle politiche e dei servizi, a partire dalle campagne di sensibilizzazione per arrivare alle contromisure legislative finalizzate a prevenire e/o contenere la violenza.